Il popolo greco si è espresso con una valanga di NO contro la politica di austerità portata avanti in questi anni dalla troika e dalla UE.
Un risultato che per il popolo greco sta a significare un sussulto di dignità dopo aver subito dal 2010 a tutt’oggi ogni sorta di imposizioni e sacrifici da parte di chi ha fatto dell’austerità la propria ragione di vita.
Va detto per chiarezza che il referendum di oggi non ha vincitori ma solo vinti perché al di là del risultato numerico il ricorso alle urne sancisce la sconfitta della UE e della stessa Grecia che si ritrova ormai sull’orlo del baratro.
Trovare i colpevoli in entrambi i campi non è poi così difficile, da una parte vi sono la Merkel e i promotori della politica del rigore e dall’altra la classe politica greca che è riuscita a mandare in poco più di 30 anni un Paese sull’orlo del fallimento.
Quando la Grecia entrò nell’EU agli inizi degli anni ottanta aveva un debito pubblico contenuto, pari al 28% del Pil e poteva contare su una discreta economia interna basata sull’industria navale, sul comparto minerario e ovviamente su turismo e agricoltura.
Con l’entrata nella UE la Grecia si aprì, suo malgrado, all’importazione di quelle economie forti dei Paesi nordici che in poco tempo riuscirono a mettere ko la produzione nazionale e lo Stato si sostituì all’industria privata ricollocando nel comparto pubblico buona parte dei suoi disoccupati.
Ma per rendere possibile tutto ciò i politici hanno percorso la strada più semplice e più gratificante per loro (per ottenere consensi), quella di non curarsi più del debito pubblico sopraffatti dalla bramosia di ottenere voti che ricambiavano distribuendo a pioggia impieghi pubblici.
Quando poi nel 2009 è scoppiata la crisi molti dei settori produttivi erano spariti e l’assistenzialismo si faceva ormai carico di sfamare il 70% della popolazione.
Quello di oggi non era un referendum per uscire dall’Europa ma per dar vita a un’altra Europa e credo che il NO secco uscito dalle urne debba far riflettere non solo la classe dirigente greca ma soprattutto il board della UE al quale arriva un invito chiaro e diretto a cambiare rotta.
Tsipras ha aperto una strada nuova e c’è da augurarsi che quel buontempone del nostro Premier questa sera abbia imparato qualcosa sul valore che sembra ancora avere la parola democrazia.
Quel Renzi che nell’ultima settimana nei giorni pari abbracciava il suo amicone Tsipras e nei giorni dispari correva dietro alla cancelliera Merkel affannandosi a dire (per essere il primo dei paggetti) che il referendum in Grecia non era null’altro che uno sbaglio e che lui non lo avrebbe fatto.
Sappiamo dai tempi del giochino a Letta quanto la coerenza non sia parola conosciuta da pinocchietto Renzi ma questa sera dalla Grecia arriva un messaggio altrettanto chiaro anche per il più incoerente dei Premier che mai l’Italia abbia avuto, quello che il volere del popolo è sovrano!
Certo che per essere un suo amicone, al buon Matteo, Tsipras gli ha rifilato uno schiaffone mica da ridere!
Archivi tag: renzismo
Fassina chi? Quello che ha scelto la gente!
Stefano Fassina il calimero del PD dopo aver lasciato il partito ha rotto gli indugi e si è fatto grande promuovendo al teatro Palladium alla Garbatella un incontro dal tema “Scuola lavoro democrazia, futuro a sinistra” a cui hanno partecipato Pippo Civati, Cofferati, esponenti di SEL e Rifondazione comunista, oltre a una nutrita schiera di militanti che hanno stracciato la tessera del PD.
Il leader in pectore della nuova sinistra non ha scelto una data a caso per la sua presentazione, ma lo ha fatto il 4 luglio che come lui stesso ha spiegato: “Oltre all’Indipendenza degli Stati Uniti oggi celebriamo anche l’indipendenza da una sinistra rassegnata e subalterna”.
Fassina davanti ad una sala gremitissima non ha usato giri di parole ma anzi è andato diritto al problema affermando: “Stiamo costruendo un partito di governo che mette insieme la sinistra vera. Quella alternativa a Renzi, che di sinistra non ha nulla”.
Nel suo intervento l’ex vice ministro dell’Economia del Governo Letta ha citato Edoardo Bennato e la sua celebre “L’isola che non c’è” per lanciare il messaggio che la nuova formazione politica che si materializzerà subito dopo la pausa estiva nasce proprio per andare verso quell’isola che oggi non c’è e nella quale potranno coabitare le diverse anime della sinistra che nulla condividono con il PD di Renzi.
Quello che si apprestano a lanciare Fassina, Civati e & co. è un progetto politico molto interessante che potrà portare a risultati da doppia cifra elettorale nel momento in cui saprà imbarcare nel viaggio verso l’isola la moltitudine di naufraghi della sinistra che si sono visti costretti a scendere da un barcone, quello del PD, che fa acqua da tutte le parti.
Renzi ha fatto spallucce, ma è chiaro a tutti che ha accusato il colpo, tanto che dopo l’annuncio dell’addio di Fassina al PD si è affrettato a dire ai componenti del suo cerchio magico di non attaccarlo pubblicamente e se possibile di non commentare e non è difficile capire il motivo di questo suo atteggiamento.
Infatti se l’uscita di Pippo Civati è stata bollata dall’entourage di Renzi con la più classica delle battute: “ se ne è andato perché ha perso la corsa per la segreteria e perché non conta nulla” quella di Fassina è una defezione di quelle che può fare male e soprattutto nata per dare voce ai tanti militanti che non si riconoscono più in un PD che sa molto di Fanfani e poco o niente di Berlinguer.
Ecco allora che diventa estremamente controproducente per Renzi e combriccola dare contro a chi come Fassina ha messo da parte gli interessi personali per portare avanti quell’idea di sinistra che non si riconosce per nulla nelle riforme portate avanti dal Governo Renzi.
Fassina può essere simpatico o antipatico ma sicuramente è una persona coerente con le proprie idee e rispettoso degli impegni presi a suo tempo con gli elettori (alle primarie per le politiche del 2013 a Roma città fu il più votato con oltre 11.000 preferenze) non ci ha pensato due volte a lasciare un partito in cui le differenze non vengono rispettate ma anzi fatte oggetto di sberleffi.
Fossi in Renzi comincerei a guardarmi a sinistra con una certa apprensione visto che la sua luna di miele con una parte della metà degli italiani è pressoché finita, come recitano i sondaggi che vedono lo sgretolamento costante del suo consenso.
Renzi e #labuonapolitica che ricolloca Bassanini
Tra i tanti hastag lanciati dal premier Renzi dal giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi quello relativo a #labuonapolitica si può considerare uno dei più gettonati e secondo come importanza solo al fantastico #staisereno con cui buttò giù dal palazzo Letta.
Se #staisereno fu un hastag di sostanza (te lo mando e ti soffio il posto) al contrario #labuonapolitica è quello che maggiormente rappresenta l’essenza di quel Renzismo che si basa sul nulla e che può essere catalogato come “just an illusion“ (prendendo in prestito il titolo della canzone più famosa degli Imagination lanciata nel 1982).
#labuonapolitica è quella con cui Renzi afferma di voler cambiare l’Italia in meglio, affidandosi a processi innovativi che vadano a scardinare il vecchio sistema!
Peccato che in questi giorni pinocchietto Renzi abbia messo in atto una mossa che con #labuonapolitica non ha nulla a che vedere ma anzi ricorda i vecchi maneggi di democristiana memoria con cui venivano distribuiti gli incarichi di peso sulla base delle indicazione d’ordine fornite dai poteri forti.
E’ il caso delle dimissioni obbligate a cui è stato sottoposto il presidente della Cassa Depositi e Prestiti ( nonchè di Metroweb), Franco Bassanini politico di lungo corso e socialista votato alla causa del PCI.
Franco Bassanini è stato Onorevole dal 1979 al 1996 ( VIII,IX,X,XI,XII legislatura), Senatore dal 1996 al 2006 ( XIII e XIV legislatura), nonché Ministro per la funzione pubblica dal 1996 al 2001 (nei governi Prodi I, D’Alema II e Amato II), mentre la di lui moglie Linda Lanzillotta ( ha cambiato 7 partiti dall’inizio della sua attività politica ad oggi: Unione Comunisti Italiani, PSI, Democrazia e Libertà – La Margherita, PD, Alleanza per l’Italia, Scelta Civica, PD) attuale Vice Presidente del Senato siede in Parlamento dal 1996 ( XV,XVI,XVII legislatura) ed è stata Ministro per gli affari regionali dal 2006 al 2008 (Governo Prodi).
Per dirla in parole povere le Fondazioni bancarie d’intesa con il premier Renzi hanno deciso la destituzione di Bassanini per fare spazio a Claudio Costamagna, già consigliere di amministrazione di Bulgari, del Gruppo Il Sole 24 Ore, di Autogrill, di DeA Capital tutte società quotate sulla Borsa italiana.
Costamagna ha lavorato in Citibank, Montedison e Goldman Sachs, colosso della finanza mondiale dove, entrato nel 1988 come responsabile dell’investment banking per il mercato italiano ne è uscito dopo vent’anni con la stessa carica ma estesa all’intera area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa).
Attualmente è Presidente di Salini Impregilo Spa ( che costruisce anche opere per enti locali finanziati dalla Cassa depositi ) e siede anche nel consiglio di amministrazione di Luxottica, FTI Consulting Inc, Virgin Group Holdings Ltd.
Per allontanare Bassanini dalla cassaforte d’Italia il premier Renzi non si è affidato a un tweet ma lo ha fatto con un comunicato ufficiale che recita: “Ho parlato col Presidente Bassanini dell’esigenza – avvertita dal Governo e dalle Fondazioni bancarie – che tale processo sia accompagnato da una riflessione più ampia sulla governance della Cassa. Gli ho anche prospettato la mia intenzione di continuare ad utilizzare le sue competenze ela sua esperienza al servizio del Paese per altri incarichi. Bassanini si è dichiarato disponibile a favorire questo processo di rinnovamento, scegliendo per il momento di lavorare a Palazzo Chigi con l’incarico di “consigliere speciale” del Presidente del Consiglio. È mia intenzione affidargli divolta in volta il compito di predisporre analisi, proposte e soluzioni suspecifici problemi, continuando a dare il suo contributo alla realizzazione del Piano Banda Ultralarga”.
Della serie ti trombo dalla Cassa Depositi e Prestiti perché non sei “funzionale” ma ti nomino “consigliere speciale” del Presidente del Consiglio per la Banda Ultralarga!
Beh se questa è #labuonapolitica visto quello che sta succedendo in Europa e in Grecia a proposito del potere delle banche credo che sia veramente il caso di preoccuparsi.
La sai l’ultima?
Bocciata #labuonapolitica di Renzi e del suo governo
I risultati delle regionali di ieri nelle sette regioni chiamate al voto saranno ricordate per la Caporetto rimediata dal PD in Veneto e in Liguria, due regioni in cui il Premier Renzi e le sue ministre si sono spesi all’inverosimile in campagna elettorale per sostenere le due candidate Moretti e Paita.
Oggi a disfatta avvenuta, nel PD le voci parlanti del cerchio magico vicino a Renzi ( i vari Orfini, Guerini, Rosato e Serrachiani ) minimizzano dicendo che in fondo si tratta pur sempre di elezioni a valenza regionale e non politica, dimenticando che giusto in Veneto il Premier Renzi aveva promosso la candidatura della Moretti con un video in cui la scarrozzava in una macchina con lui alla guida e il messaggio lanciato era piuttosto chiaro: lei governerà il Veneto ma alla guida ci sono io!
A Renzi si sa non piace perdere e così non ha trovato di meglio che volare questa mattina di buon’ora in Afghanistan per evitare di dover commentare un risultato elettorale che vede lui e il suo governo ampiamente bocciato!
Il primo dato contro Renzi è che l’astensione dalle urne anziché diminuire è aumentata passando dal 64,13% delle regionali 2010 e dal 58,69% delle europee del 2014 al 53,90% di ieri, risultato che indica che ha votare non è andata la metà degli italiani chiamati alle urne.
Ma non era lui ad aver lanciato l’hastag #labuonapolitica che aveva lo scopo di riavvicinare al voto gli italiani, non era lui quello che si era detto convinto di andare a pescare con il Partito della nazione nell’elettorato del centro destra e del movimento 5 stelle? Beh da quello che si è visto al suo PD la missione non è riuscita per nulla ma anzi il PD rispetto alle elezioni europee dello scorso anno, quelle per intenderci con cui Renzi si era fatto Re forte del 40% raccolto, perde voti ovunque, non solo nelle regioni perse ma anche e soprattutto in quelle vinte.
Ieri sera Orfini, presidente del PD, imprudentemente si è lasciato andare a un euforico “abbiamo vinto”, ma forse si riferiva alla partita che stava giocando alla playstation con il Premier Renzi, perché a ben vedere i risultati ottenuti dalla lista PD in tutte e sette le regioni fanno registrare un calo di voti che ridimensiona totalmente il risultato delle europee e fa pensare che il PD sia tornato ai livelli di quando il partito era gestito da chi Renzi ha voluto rottamare.
A proposito di rottamazione c’è un aspetto molto interessante sul voto in Campania che fa capire come il Renzismo di fatto non abbia nulla di diverso rispetto al modo di fare politica della classe dirigente che l’ha preceduto; Renzi da una parte parla di rottamazione e dall’altra riesuma nientemeno un personaggio come Ciriaco De Mita che seppur con un modesto 2,34% del suo UDC consegna di fatto la vittoria a De Luca (disattendendo al fotofinish un accordo già siglato con Caldoro) e quindi al PD di Renzi! ( De Luca 41,14 – 2,34= 38,80 * Caldoro 38,38 + 2,34= 40,72 ).
Vediamo nel dettaglio i risultati ottenuti dalla lista PD nelle sette regioni chiamate al voto:
LIGURIA
Il centrodestra ha vinto ottenendo con Toti il 37.71% mentre la candidata del PD Paita ha ottenuto il 27.83%.
La lista PD ha ottenuto il 25.63% (138.590 voti) contro il 28.35% (211.500 voti) delle regionali del 2010 e il 41.67% (323.728 voti).
In pratica il PD perde 73.000 voti rispetto al 2010 e 185.138 rispetto al 2014.
VENETO
Il centrodestra ha vinto ottenendo con Zaia il 50.08% mentre la candidata del PD Moretti ha ottenuto il 22.74% – un risultato con cui per dirla alla Renzi il presidente uscente Zaia ha completamente asfaltato la Moretti che a leggere i suoi tweet pre-voto pensava di vincere alla grande.
La lista PD ha ottenuto il 16.67% (307.942 voti) contro il 20.34% (456.309 voti) delle regionali del 2010 e il 37.52% (899.723 voti).
La lista PD perde 148.367 voti rispetto al 2010 e 591.781 rispetto al 2014.
TOSCANA
Il candidato del PD Rossi vince ottenendo il 48.03% seguito a sorpresa al secondo posto dal candidato della Lega Borghi che ottiene il 20.02%.
La lista PD ha ottenuto il 46.35% (614.406 voti) contro il 42.20% (641.000 voti) delle regionali del 2010 e il 56.35% (1.069.000voti).
Anche in questa regione proverbialmente rossa la lista PD fa registrare una perdita di 26.594 voti rispetto al 2010 e qualcosa come 454.594 voti rispetto al 2014.
MARCHE
Il candidato del PD Ceriscioli vince con il 41.07% precedendo il candidato del M5S Maggi che ottiene il 21.78%.
La lista PD ha ottenuto il 35.13% (186.357 voti) contro il 31.12% (224.897 voti) delle regionali del 2010 e il 45.45% (361.463 voti).
E anche in questa regione a trazione rossa la lista PD perde 38.540 voti rispetto al 2010 e 175.106 rispetto al 2014.
UMBRIA
La candidata del PD Marini vince con il 42.78% sul candidato del centrodestra Ricci che ottiene il 39.27%.
La lista PD ha ottenuto il 35.76% (125.777 voti) contro il 36.17% (149.219 voti) delle regionali del 2010 e il 49.15% (228.329 voti).
E così nella rossa Umbria la lista PD perde 23.442 voti rispetto al 2010 e 102.552 rispetto al 2014.
CAMPANIA
Il candidato del PD De Luca vince con il 41.14% sul candidato del centrodestra Caldoro che ottiene il 38.38%.
La lista PD ha ottenuto il 19.49% (443.092 voti) contro il 21.43% (590.000 voti) delle regionali del 2010 e il 36.12% (832.183 voti).
Anche qui la lista PD perde 146.908 voti rispetto al 2010 e 389.091 rispetto al 2014.
PUGLIA
Il candidato del PD Emiliano vince con il 47.10%, mentre per il secondo posto c’è una lotta all’ultimo voto tra la candidata del M5S Laricchia (18.40%) e Schitulli (18.31%) della lista Fitto.
La lista PD ha ottenuto il 18.83% (316.204 voti) contro il 20.75% (410.395 voti) delle regionali del 2010 e il 33.58% (550.086 voti).
Anche qui la lista PD perde 94.191 voti rispetto al 2010 e 233.882 rispetto al 2014.
Da sempre l’analisi politica del risultato di una consultazione elettorale si fa in due modi: il primo attraverso l’ormai deprimente “teatrino della politica” con cui i politici si arrampicano sugli specchi per non ammettere la sconfitta (teatrino nel quale da ieri sera entrano di diritto i vari Orfini, Guerini, Rosato e Serracchiani); il secondo attraverso la conta dei voti che ciascun partito ha ottenuto in termini generali; per cui sulla base dei dati presenti online sul sito del Ministero dall’Interno alle ore 17.30 di oggi si può affermare che il PD ha perso 551.411 voti rispetto alle regionali del 2010 e 2.574.125 voti rispetto alle europee del 2014.
A conti fatti, credo che quando un partito nel giro di un anno perde qualcosa come oltre 2,5 milioni di voti non si possa in nessun caso parlare di una vittoria, ma semmai di una sonora sconfitta.
Questo risultato certifica la fine anticipata della luna di miele tra Renzi e buona parte degli italiani, nel breve spazio di un anno i cittadini hanno avuto tra le mani non il gessetto con cui Renzi ci ha impartito la sua lezioncina alla lavagna ma l’atavica matita copiativa con la quale hanno vergato nei suoi confronti una netta bocciatura.
Il miracolo del PD di Renzi e del Renzismo non esiste più, siamo ritornati al PD di Bersani e di quelle percentuali comprese tra il 20-30%.
Non poteva finire diversamente, Renzi ha sfidato il mondo della scuola e del lavoro, i pensionati, spesso arrivando quasi a ridicolizzare queste categorie per cui credo che ieri gli sia arrivata una sonora lezione e che sia in difficoltà nel metabolizzarla lo dice il fatto che oggi di lui ( sempre attento a dire la sua su tutto ) in Italia non c’è traccia!
Un suggerimento? Provi se ne ha il coraggio a farsi votare dagli italiani, si dimetta e lasci che siano i cittadini a decidere se possa essere un Re o un paggetto!
Renzi a casa? Domenica può essere #lavoltabuona
Le elezioni regionali che si svolgeranno domenica indipendentemente da quello che sarà l’esito del voto, che peraltro potrebbe riservare non poche sorprese, un messaggio forte ai cittadini ( soprattutto a quelli che guardano o guardavano a sinistra ) l’hanno già mandato non appena la presidente della commissione antimafia Rosy Bindi terminata la conferenza dedicata agli “impresentabili” è stata oggetto di un attacco indiscriminato da parte di tutti gli esponenti del PD che compongono il cerchio magico che circonda il Premier Renzi.
Attaccare Rosy Bindi per difendere De Luca è un messaggio forte che non può testimoniare il segno della trasformazione del PD in un’altra cosa!
La pasionaria di Sinalunga del PD è stata bersagliata da tutti i parlamentari più vicini a Renzi, tra cui il presidente del partito Orfini, i vice segretari Guerini e Serrachiani, mentre il capogruppo del Senato Zanda è arrivato addirittura a definire l’operato della Bindi una “barbarie politica” prendendo a prestito da Berlusconi un termine a lui molto caro.
Ma l’elenco degli impresentabili non è null’altro che una goccia di aceto su una frittata che il Premier Renzi e il suo cerchio magico avevano già provveduto a cuocere a fuoco lento nel momento in cui erano scesi in massa in Campania per sostenere il candidato De Luca a cui Renzi, il sottosegretario Lotti e la ministra Boschi hanno riservato frasi del tipo: “Vincenzo De Luca è un amministratore straordinario”, “La candidatura di De Luca è autorevole, qualificata e assolutamente vincente”, “De Luca è una guida forte”.
La ministra Boschi a dire il vero si è spinta ben oltre le sue competenze e nella sua veste di ministro della Repubblica ha detto: “La sentenza della Cassazione nella sostanza non cambia nulla”, secondo la legge Severino “De Luca è candidabile ed eleggibile” sostituendosi di fatto alla magistratura.
Nel pomeriggio il Premier Renzi che a quanto sembra ha accusato il colpo ha risposto per le rime alla Bindi da Ancona dove stava chiudendo la campagna elettorale nelle Marche e durante il comizio elettorale ha detto che : “La Bindi con De Luca se la vedrà in Tribunale”.
Ora mi chiedo quale rispetto abbia un Premier non eletto dai cittadini per chi comunque ricopre una carica istituzionale e svolge il suo ruolo nei dettami previsti dalla Costituzione; per quale motivo la Bindi dovrebbe vedersela in Tribunale con De Luca? Non stava forse svolgendo il compito che il Parlamento aveva assegnato alla Commissione antimafia, oppure il problema è dovuto al fatto che in quella lista sia comparso il nome di De Luca per cui il Premier si è speso molto in questa campagna elettorale?
Per la cronaca nel pomeriggio il presidente emerito della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri, interpellato dall’Agi sulle accuse di “violazione della costituzione” da parte dei renziani, ha spiegato che la Commissione e la Bindi hanno agito correttamente: “Si violerebbe la legge o la Costituzione se le indicazioni date fossero false, ma trattandosi di fatti veri e di carattere pubblico come sono gli atti giudiziari, non si fa che mettere i cittadini nelle condizioni di scegliere”.
Una cosa è certa, l’aria che tira in casa PD non è delle migliori e a un giorno dal voto cominciano a non quadrare più i conti a chi pensava di vincere alla grande questa tornata elettorale.
Di sicuro sul risultato finale avrà un ruolo molto importante l’astensionismo che potrebbe falsare non poco l’esito delle elezioni e parlare di eventuali dimissioni di Renzi in caso di un risultato deludente non è più in queste ore un fatto impensabile.
La vicenda degli impresentabili ha di fatto messo un timbro di valenza nazionale su queste elezioni a cui Renzi e il suo cerchio magico hanno sempre tentato di dare una valenza puramente amministrativa e quindi non politica.
E’ chiaro che nel momento in cui una tornata elettorale assume una valenza nazionale e quindi politica, cambia l’ottica con cui il cittadino deve ponderare l’importanza del suo voto.
Ecco quindi che i problemi regionali lasciano il posto a temi di politica nazionale e il voto di domenica potrebbe per molti cittadini significare un apprezzamento o meno su quanto il governo Renzi ha fatto o non ha fatto ( job acts, riforma della scuola, legge elettorale, ecc.).
Qualcuno pensa che si potrebbe profilare uno scenario simile a quello che toccò a Massimo D’Alema che da Presidente del Consiglio nel ‘2000 dopo la batosta rimediata dal centro sinistra nelle elezioni regionali del 16 aprile si vide costretto a recarsi al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni.
A dire il vero D’Alema quando si presentò in Senato, senza fare capriole dialettiche, senza nascondersi dietro la giustificazione del voto amministrativo e non politico, ammise la sconfitta riconoscendo l’insufficienza dell’azione del suo governo.
Il governo Renzi da quanto mi è dato leggere attraverso le migliaia di commenti (alcuni accompagnati da slogan piuttosto coloriti) postati dai cittadini sulla pagina facebook e sull’account twitter del Premier non mi sembra a naso che goda dello stesso gradimento manifestato in occasione delle elezioni europee per cui non resta che aspettare lo spoglio di domenica sera per capire se Renzi potrà continuare la sua corsa o dovrà preparare la valigia.
Il pallone bucato
La recente operazione denominata “Dirty Soccer” condotta dalla Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ha portato a una cinquantina di arresti, tra calciatori, allenatori, dirigenti e presidenti di club segna una ulteriore pagina buia di quel universo calcio che sembra ormai destinato a non uscire più dal tunnel in cui si è auto confinato.
L’Italia è squassata da nord a sud da fenomeni di corruzione ricorrenti che riguardano la politica e le istituzioni e chi governa il calcio non è riuscito a creare gli opportuni strumenti per mantenere il mondo del calcio esente dalle contaminazioni provenienti dall’esterno.
Il Premier Renzi è intervenuto sull’argomento a radio Rtl 102,5 definendo lo scandalo sulla Lega Pro ‘imbarazzante‘ e dicendosi ‘disgustato‘ ha commentato: “Ora basta con il fatto che personaggi di discutibile approccio governino il calcio a tutti i livelli. Faccio un appello alla Federazione, alla Lega, al Coni, restituiamo il calcio alle famiglie” e ancora “Sono disgustato, perché il calcio è anche un valore aggiunto per l’immagine di un Paese all’estero e negli ultimi anni c’è sempre uno scandalo che ci lascia senza parole. E’ arrivato il momento di cambiare totalmente il sistema, bisogna dare con chiarezza a certi personaggi del mondo del calcio un messaggio forte di stop. All’estero ci prendono in giro. Ora basta, basta con certi personaggi. Faccio appello alla Lega, alla federazione, al Coni. Rendiamo pulito il calcio italiano, è tutto un ‘magna magna’”.
Peccato che le scommesse siano il business migliore in termini di profitto per lo Stato, mentre il calcio è in pratica la terza maggior industria della penisola, basti pensare che in termini di PIL gli introiti per le scommesse rappresentano una percentuale superiore addirittura a quella generata dalla vendita di tabacchi e alcoolici.
Sono moltissimi i soldi del calcio che vanno allo Stato, e non solo attraverso le tasse e la gestione delle scommesse legali della Matchpoint Sisal.
Il sistema calcio in Italia finanzia il Coni e di conseguenza tutti gli altri sport nazionali, oltre al settore giovanile scolastico, attraverso il versamento di oltre 1.100 milioni di euro l’anno all’Erario.
Solo dalle scommesse lo Stato incassa in un anno una cifra variabile tra 1,5- 2 miliardi di euro (dati 2012) e nel 2014 i Monopoli di Stato hanno approvato la richiesta avanzata dalla Snai per poter accettare giocate sulle 167 squadre della quarta serie italiana e tale apertura del sistema scommesse nel campionato di serie D fu commentata dai propositori con la dichiarazione : “La sicurezza è garantita”.
Appare quindi del tutto evidente che lo Stato ha le sue colpe perché non ci si può scandalizzare a fatto avvenuto quando per fare cassa si è permesso di abilitare le scommesse nelle partite della serie D ben sapendo che le stesse non sono soggette a nessun tipo di controllo televisivo.
Al tempo stesso chi governa il mondo del calcio ha delle responsabilità ben precise che vanno ricercate non oggi ma al contrario ben distribuite tra chi ha retto le sorti della FIGC negli ultimi 35 anni.
Trentacinque anni ( quelli che vanno dal 1980 al 2015 ) in cui alla governance della FIGC dopo l’era di Artemio Franchi si sono succeduti 6 presidenti: Federico Sordillo, Antonio Matarrese, Luciano Nizzola, Franco Carraro, Giancarlo Abete, Carlo Tavecchio e ben 5 commissari straordinari: Franco Carraro, Raffaele Pagnozzi, Gianni Petrucci, Guido Rossi, Luca Pancalli.
La prima considerazione che viene spontanea scorrendo i nomi di chi ha governato in tutti questi anni la FIGC è che tra di loro non vi è nessun giocatore o allenatore che sia.
Diventa quindi difficile pensare che in oltre 30 anni il governo del calcio italiano sia stato precluso a chi di fatto il calcio lo ha vissuto da atleta, allenatore o arbitro.
Possibile che giocatori del calibro di Rivera, Mazzola, Zoff, Tardelli o arbitri come il mitico Concetto Lo Bello o Collina non abbiano mai avuto una chance per provare a governare uno sport di cui sono stati importanti protagonisti in campo e fuori.
Qualcuno potrà dire che personaggi del calibro di Rivera e Mazzola siano l’espressione di un calcio che non c’è più ma forse varrebbe la pena provare almeno una volta a mettere un uomo di sport al posto di comando.
Il calcio attuale non è governato dai dirigenti sportivi ma dalle varie Leghe che rappresentano gli interessi delle società e di conseguenza trattano in materia di diritti televisivi e si permettono di spalmare le partite lungo l’intero arco della settimana.
Cosa fare? Abolire le scommesse nei campionati minori e questo se Renzi vuole veramente porre un argine al suo senso di disgusto lo può fare nell’immediato agendo sui Monopoli di Stato, se non lo farà al prossimo giro si ritroverà in mano un pallone bucato!
Dignità non è una nuova Legge truffa!
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, non eletto dai cittadini, ma nominato dal Presidente Napolitano e da un Parlamento di trasformisti ha scritto ieri una lettera strappa lacrime ai segretari dei circoli del PD che iniziava cosi: “Care compagne e compagni, care amiche e cari amici, care democratiche e cari democratici, scrivo a voi responsabili dei circoli del nostro partito in un momento delicato della vita istituzionale del Paese.” e in un ulteriore passaggio sottolineava “c’è in ballo soprattutto la dignità del nostro partito”.
Credo che dignità sia un concetto profondo e trovo che sia offensivo utilizzarlo per dirimere una polemica interna a quello che una volta era il partito della sinistra e oggi si appresta a diventare il partito della nazione imbarcando una marea di trasformisti tra cui si mormora i vari Verdini & company e la famiglia Bondi.
Basti pensare che negli ultimi 24 mesi tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica vi sono stati ben 235 cambi di casacca (119 alla Camera e 116 al Senato) che testimoniano come per buona parte dei deputati l’imperativo primario a questo punto della legislatura sia cercare di garantirsi una poltrona anche per la prossima tornata elettorale.
Ecco quindi che Renzi si è trovato indicata dagli stessi deputati la strada da seguire, quella del ricatto, che ha esercitato chiedendo in Parlamento per il suo Governo una fiducia ogni 12 giorni ben sapendo che il non votare la fiducia avrebbe significato per i parlamentari in automatico la non riconferma in un futuro Parlamento di nominati.
Poche ore fa la ministra Boschi ha posto alla Camera dei Deputati la fiducia sulla legge elettorale, quell’Italicum che passerà alla storia come la terza Legge truffa del nostro Paese dopo la Legge Acerbo del 1923 (voluta da Mussolini) e la Legge Truffa del 1953 (fermamente avversata dall’allora Partito Comunista).
Peccato che il 15 gennaio 2014 Renzi in un tweet scriveva: “Legge elettorale. Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato”.
Tornado al concetto di dignità usato da Renzi nella sua lettera al popolo di sinistra credo siano opportune alcune riflessioni:
– dignità vuol dire anche essere affidabili e mantenere gli impegni presi, come nel caso del tweet sulla legge elettorale andato completamente disatteso;
– dignità vuol dire anche spiegare cosa ci faceva il ministro Polletti a tavola con il protagonista di Mafia capitale;
– dignità vuol dire anche spiegare cosa ci faceva (e quanto ha pagato, se ha pagato lui) alla cena elettorale promossa da Renzi per la raccolta fondi per il PD il protagonista di Mafia capitale;
– dignità vuol dire anche spiegare le candidature di De Luca in Campania ( che se eletto verrà dichiarato decaduto in quanto ineleggibile ) e della Paita in Liguria, indagata per omicidio e disastro colposo per l’alluvione dell’ottobre 2014, nonché artefice di una vittoria alla primarie liguri in cui ha imbarcato voti da ogni parte politica pur di garantirsi la vittoria;
– dignità vuol dire anche mandare a casa la ministra Giannini che ha dato degli “squadristi” agli insegnati che la contestavano a Bologna;
– dignità è avere la dignità di farsi eleggere dai cittadini prima di stravolgere la Costituzione e varare una legge elettorale che consegnerà l’Italia a se stesso per gli anni a venire!
Oggi per poter porre la fiducia sulla legge elettorale il Premier Renzi ha convocato un Consiglio dei Ministri straordinario, dove nel giro di pochi minuti si è deliberato che è cosa buona e saggia per il Paese approvare nel più breve tempo possibile la nuova legge elettorale (magari prima delle elezioni regionali) nell’interesse dei cittadini che secondo lui hanno come desiderio primario l’avere una nuova legge elettorale, piuttosto che un lavoro sicuro o migliori condizioni di vita.
A questo punto credo che quella che oggi viene chiamata minoranza all’interno del Pd non abbia più alibi e se veramente ritiene che la presa di posizione di Renzi sia l’anticamera della non democrazia ha solo una cosa da fare, staccare la spina!
Fermare Renzi è un dovere democratico!
Il 10 dicembre del 2012 Matteo Renzi in un tweet rivolto a Berlusconi scriveva : “Caro Silvio, le cose si possono comprare, le persone no. Non tutte, almeno. Io no. Hai le porte aperte per me? Chiudi pure, fa freddo! #ciao”.
Il 12 marzo 2014 l’allora Capogruppo di SEL alla Camera dei deputati Gennaro Migliore in un tweet sull’Italicum scriveva : “Quello che viene chiamato #Italicum ha lo stesso orrendo odore del #Porcellum , che arriverà a impestilentire tutto il Paese. #opencamera”.
Per la cronaca l’On.le Migliore il 18 giugno 2014 si è dimesso dalla carica di Capogruppo di SEL per dar vita a una associazione chiamata “ Libertà e Diritti – Socialisti Europei “ detta anche LED.
Dopo tre mesi di permanenza nel gruppo misto della Camera dei Deputati il 22 ottobre 2014 l’on.le Migliore con la sparuta pattuglia di fuoriusciti da SEL passa alla corte di Renzi nel Partito Democratico.
Lunedì 27 aprile 2015 quando l’Italicum (approvato oggi dalla Commissione Affari Istituzionali alla presenza dei soli rappresentanti del Governo e della maggioranza) approderà in aula per la maggioranza il relatore sarà indovinate un po’ chi? L’on.le Gennaro Migliore!
Tutto sommato il tweet di Renzi a Berlusconi riletto oggi non fa una piega, le cose si possono comprare, le persone no! Ma una poltrona cos’è? Un seggio blindato in Parlamento alle prossime elezioni, quando i nomi dei futuri eletti del PD li farà il segretario Renzi, cos’è? Una poltrona certa!
Ecco quindi spiegate le sostituzioni dei dieci dissidenti del PD nella Commissione Affari Istituzionali sostituiti da altrettanti parlamentari del PD che hanno obbedito non tanto per spirito di servizio ma per garantirsi un posto alla prossima tornata elettorale.
Questo atto vergognoso per il partito dei Gramsci,Togliatti, Amendola e Berlinguer fa capire quanto sia necessario che ai cittadini venga riconosciuto il diritto di poter scegliere con la preferenza il proprio politico di riferimento da mandare in Parlamento e se fossi un elettore di sinistra mai e poi mai darei la mia preferenza a chi si è prestato (con la sua disponibilità al subentro) a rimpiazzare i parlamentari sostituiti d’imperio.
Per futura memoria è utile ricordare i nomi dei cacciati : Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni, e quelli dei sostituti : Paola Bragantini, Stefania Covello,Edo Patriarca; Stella Bianchi, Maria Chiara Gadda,Giampaolo Galli, David Ermini,Alessia Morani, Ileana Piazzoni, Franco Vazio ( tra questi giusto per la cronaca 6 sono abusivi: Morani, Gadda, Vazio, Covello, Piazzoni, Ermini, tutti eletti con premio il maggioranza incostituzionale).
Al ministro per le Riforme Maria Elena Boschi che oggi se ne è uscita con la dichiarazione: “Sinceramente credo che le opposizioni abbiano poca dimestichezza con le regole della democrazia, il confronto in commissione c’è stato per 13 mesi tra i due rami del Parlamento e proseguirà con chi resta in Commissione”, sarebbe opportuno che qualcuno ricordasse che la Corte costituzionale ( per quello che ancora vale ) nella sentenza 14 del 1964 si è espressa in maniera del tutto precisa: “Il divieto di mandato imperativo importa che il parlamentare è libero di votare secondo l’indirizzo del suo partito, ma è anche libero di sottrarsene. Nessuna norma potrebbe legittimamente disporre che derivino conseguenze a carico del parlamentare per il fatto che egli abbia votato contro le direttive del partito”.
Ma quello che sta accadendo in questi giorni in Parlamento non riguarda solo i mal di pancia del PD e gli elettori della sinistra ma al contrario pone all’attenzione dell’intera nazione l’avanzata di un fenomeno che molti hanno chiamato “Renzismo“ o meglio ancora “ Democratura”.
Ditemi voi se quello che sta mettendo in atto Renzi da tempo nell’indifferenza generale non ricorda molto da vicino il modus operandi con cui il Fascismo prese il potere attraverso sei semplici mosse:
1) NO al voto popolare (Renzi non è stato eletto dal popolo);
2) Decide il Re chi mettere alla guida del Governo (Renzi è diventato Premier nominato dal presidente della Repubblica senza passare attraverso regolari elezioni);
3) Le opposizioni vengono di fatte azzerate (è quello che sta accadendo per l’Italicum);
4) Premio di maggioranza al partito che riceve più voti (è quanto previsto dall’Italicum che assegna un premio di maggioranza spropositato al partito che vincerà le elezioni, in prima battuta o al ballottagio);
5) Abolizione delle preferenze (è quanto previsto dall’Italicum che toglie ai cittadini la possibilità di indicare la preferenza per il proprio candidato mantenendo di fatto una Camera dei Deputati di nominati);
6) Abolizione di una delle due Camere (già fatto con l’abolizione del Senato sostituito con il Senato delle Autonomie dove i senatori non verranno più votati dai cittadini ma saranno nominati dalle segreterie dei partiti attraverso i consigli regionali; l’esatta fotocopia della Camera dei Fasci e delle Corporazioni che sostituì la Camera dei deputati dal 1939 al 1943).
Ma il vero colpo finale del suo progetto di presa totale del potere Renzi lo vuole mettere a segno proprio con l’Italicum che è una moderna rivisitazione di quella che fu chiamata nel lontano 1953 la “legge truffa”, una legge che dopo un lungo dibattito alla Camera dei Deputati fu oggetto di una lettura fulminea al Senato con lo scopo di poter essere approvata giusto in tempo per entrare in vigore in occasione delle elezioni politiche del 3 giugno 1953.
La legge promulgata il 31 marzo 1953 aveva lo scopo di assegnare uno spropositato premio di maggioranza alla forza politica che nelle elezioni di giugno avesse raggiunto il 50% dei voti ( per la cronaca le forze apparentate ottennero il 49,8% dei voti e quindi il meccanismo della legge non scattò) e fu caldamente osteggiata dal Partito Comunista come testimoniano le pagine dell’Unità di allora.
Oggi l’ex Premier Letta che recentemente ha dichiarato che lascerà il Parlamento per assumere la direzione l’Istituto di studi politici di Parigi (Institut d’études politiques de Paris), conosciuto come Sciences Po, in un intervento nel programma mix24 di Minoli ha detto tra le altre cose che “Renzi racconta un Paese che non c’è!” e ancora sull’Italicum “Finora c’è stata solo una legge elettorale approvata a maggioranza stretta in Italia: il Porcellum ed è stato un disastro. Le altre, il Mattarellum e quelle della Prima Repubblica sono state approvate a maggioranze larghe perché, come ha detto Renzi stesso, le regole del gioco si fanno tutte insieme”.
Ma oggi Renzi le regole del gioco se le vuol fare da solo e solo per lui mentre nel suo programma elettorale per le primarie del 2012 diceva chiaramente “I deputati devono essere scelti tutti direttamente, nessuno escluso, dai cittadini“ (come si può leggere nello stralcio del suo programma riportato in fondo a questo articolo), della serie “ verba volant, scripta manent “.
Se poi volete avere una panoramica più ampia sull’intera vicenda andate sulla pagina facebook del Premier Renzi e leggetevi i commenti degli italiani, non so se ho visto male ma per trovarne uno favorevole bisogna farne scorrere dieci contrari ed è per questo che fermare Renzi è un dovere democratico!
Diffidate gente, diffidate da chi si vuol fare RE!
Mogherini chi?
Mentre il canale di Sicilia si trasforma per l’ennesima volta in un cimitero di morti senza volto e senza nome mi viene in mente quella risposta ironica che il buon Matteo Renzi ebbe a dare a chi gli chiedeva cosa ne pensasse della proposta di rimpasto del governo Letta avanzata dall’allora sottosegretario all’economia Fassina, ve la ricordate? La risposta fu : Fassina chi?
Ecco credo che oggi se a buona parte degli italiani venisse chiesto : come giudicate il lavoro dell’onorevole Federica Mogherini – Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza la risposta sarebbe pressoché identica : Mogherini chi?
Ma andiamo con ordine, la Mogherini, già assistente di Walter Veltroni ai tempi cui quest’ultimo era sindaco di Roma, fu nominata ministro degli affari esteri da Renzi il 21 febbraio 2014 quando venne formato l’attuale Governo Renzi; fu la terza donna dopo Susanna Agnelli ed Emma Bonino a ricoprire tale carica istituzionale e in assoluto la più giovane ministro degli esteri della Repubblica.
Il suo primo atto ufficiale come ministro degli esteri è stato quello di incontrare, assieme al ministro della difesa Roberta Pinotti, le mogli dei due sottufficiali di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per assicurare loro l’impegno a risolvere nei tempi brevi la loro tragicomica vicenda, oggi 21 marzo 2015 a distanza di 392 giorni da quell’incontro nulla è cambiato e poco importa se contestualmente a quell’incontro anche il Premier Renzi calò sul tavolo del “chi la racconta più grossa“ il suo asso di cuori tweettando “ Ho appena parlato al telefono con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Faremo semplicemente di tutto, la vostra vicenda è una priorità del Governo”.
Visti gli ottimi risultati ottenuti dalla neo ministra degli esteri nei primi sei mesi di attività ( in cui ha prodotto praticamente il “nulla” ) il Premier Renzi nell’agosto del 2014 la propone al Consiglio Europeo per la carica di Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, carica che ricoprirà dal 1° novembre 2014 non prima di aver rassegnato le dimissioni da ministro degli esteri della Repubblica, fatto questo che consente al buon Renzi di portare al Governo un altro dei suoi sponsor della prima ora, tal Paolo Gentiloni in Parlamento dal 2001 (già portavoce del Sindaco di Roma Rutelli, già assessore capitolino al Giubileo e al turismo, ex Partito di Unità proletaria per il Comunismo, ex Margherita, e ora del PD ) che di fatto diventa il nuovo ministro degli esteri.
Federica Mogherini la “Lady Pesc“ dell’Unione Europea (dove “Pesc” sta per “politica estera e sicurezza comune”) nella sua prima conferenza stampa di presentazione ha voluto dichiarare che si impegnerà subito perché si riapra un dialogo tra Russia e Ucraina e che si risolva definitivamente la crisi tra i due paesi innescata con i fatti accaduti in Crimea.
E per capire quanto si sia veramente impegnata per tale emergenza è nel ricordo di tutti l’incontro avvenuto a Mosca il 6 febbraio di quest’anno tra il presidente francese Francois Hollande, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il leader del Cremlino Vladimir Putin per una possibile soluzione al conflitto nel sud-est ucraino a cui è seguito il vertice di Minsk in cui alla presenza anche del presidente Poroshenko i quattro hanno raggiunto “un accordo sull’essenziale”.
Della Mogherini in questi incontri non vi è stata traccia e questo la dice lunga su quanto conti in Europa questa figura politica ( che nella vicenda dell’Ucraina ha fatto la figura del “cucù” ) e soprattutto quanto conti l’Italia nel consesso europeo.
Ma tornando alle tragedie dei migranti che si succedono giorno dopo giorno è utile ricordare che in occasione della strage di Lampedusa dell’ottobre 2013 dove morirono oltre 300 persone tutti ebbero a dire che mai più si sarebbe potuto verificare un fatto del genere!
E’ passato poco più di un anno e mezzo e siamo punto a capo e l’Europa e non solo lei in tutti questi mesi ha sempre girato la faccia altrove!
Che dire poi di tutti quegli esponenti del Governo Renzi che salutavano nell’ottobre del 2014 la nascita delle operazioni Triton e Frontex come “un successo straordinario targato Alfano“.
Forse qualcuno dimentica che l’Italia con il suo Premier Renzi ha presieduto negli ultimi sei mesi l’Unione Europea e allora viene spontaneo chiedersi : che cosa hanno fatto nei sei mesi di presidenza italiana il Premier Renzi e il ministro Mogherini per contrastare in via definitiva quello che sta avvenendo nel canale di Sicilia? Nulla! Ma potremmo tranquillamente rispondere anche: Renzi chi?




